Tacoma

Tacoma

Ho terminato qualche settimana fa Tacoma, un’affascinante lavoro di narrazione video-ludica prodotto dagli stessi autori di Gone Home.

La narrazione inizia con l’arrivo di una donna presso una base orbitante spaziale abbandonata. Quella donna siamo noi. Nel corso della storia veniamo a scoprire che facciamo parte di una ditta in subappalto per recuperare i dati della IA che gestiva la base. Nella base è successo qualcosa, ma – almeno inizialmente – non è molto chiaro cosa.

Nel portare avanti il nostro lavoro riusciamo ad accedere ai dati corrotti, ma in buona parte leggibili, delle realtà virtuali degli astronauti/operai che lavoravano all’interno. Quando riusciamo ad accedere a queste parti, davanti a noi si animano le sagome tridimensionali, ricostruite al computer, di queste persone che noi non abbiamo mai visto.

Queste sagome parlano, si dicono cose, accedono alle loro chat, camminano, per tutta la zona di tempo registrata, in genere due o tre minuti.

La cosa affascinante è assistere ad un dialogo di due minuti tra due membri dell’equipaggio, e alla fine vedere arrivare un terzo personaggio che interviene e dice qualcosa. E lì finisce la registrazione. Allora noi rimandiamo indietro la registrazione e cambiamo stanza, in modo da capire da dove venisse il terzo personaggio, con chi era, e cosa stava dicendo o facendo mentre i primi due parlavano. E magari scopriamo che questo terzo personaggio a sua volta era con qualcuno che poi si era diretto in un altro punto dell’astronave. Così rimandiamo ancora indietro la registrazione per capire anche la storia di questo quarto personaggio e così via.

Scena da Tacoma

Ogni registrazione diventa una sorta di performance registrata multi-persona e multi-ambiente, all’interno della quale possiamo viaggiare come un voyeur, sia nello spazio che nel tempo. L’impressione è di accedere a un filmato multiluogo che vediamo e rivediamo più volte, da ogni angolazione, per farci una idea delle azioni complessive avvenute in un determinato luogo e determinato spazio.

Più che un videogioco sembra una performance teatrale digitale che avviene in diversi luoghi contemporaneamente alle quale possiamo assistere giocando con lo spazio e il tempo, avendo anche la possibilità di bloccare la registrazione e accedere ai dati personali, mail, chat, web, che un determinato personaggio stava utilizzando nel momento della registrazione.

I dati sono corrotti, instabili, emergono le menzogne, le paure, gli amori e le incoerenze di una storia che nasconde qualche segreto e qualche colpo di scena.

Alcune cose che scopriamo nei ricordi poi ci servono nel tempo reale, per muoverci nella base spaziale abbandonata e per soddisfare la parte gaming del gioco.

E colpisce la ricerca di verosimiglianza anche nelle piccole cose, le reclame, i dati importanti dei pad di questi astronauti accanto alle pagine aperte per gli acquisti online, le chat accanto alle mail per i figli, i volantini per le vertenze sindacali, i soldi.

Anche se il gioco si esaurisse in questa progressiva conoscenza di eventi e di relazioni, si tratta di un pezzo di letteratura, di narrazione elettronica di grandissimo impatto.

Scena da Tacoma

05. dicembre 2019 by fabrizio venerandi
Categories: Interactive Fiction, videogame | Leave a comment

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