Paratopic

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Ho terminato una “sessione di gioco” di Paratopic, videogioco di cui avevo già parlato qua, che non è affatto un videogioco. Si tratta di un motore di gioco utilizzato per un viaggio in lo-res attraverso una serie di esperienze narrativo-interattive.

L’impressione di entrare in un film di Lynch, che viene spesso citato per questo lavoro, è appropriata. Solo che non stiamo vedendo un film, lo stiamo esplorando.

Non c’è modo di salvare, tutto deve essere fatto in una sola sessione. Alcune parti sono – volutamente – lente e stranianti, specie quelle in automobile.

La grafica in bassa risoluzione, i colori della palette e l’uso dei pattern, i suoni e l’uso distorto e corrotto delle voci; tutti gli elementi sono efficaci.

Ci sono diversi meccanismi tipici dei videogiochi che vengono decontestualizzati e diventano inservibili: l’arma che si trova a inizio partita, la macchina fotografica che avremo nel proseguire della storia, gli innaturali rapidi passaggi di ambiente. Ci troviamo a utilizzare un tipico meccanismo dei videogiochi, ma è un meccanismo depotenziato, non sembra funzionare. Paratopic per alcuni aspetti è un anti-videogioco.

Infine: è brevissimo, si tratta di una sperimentazione, ma è ricco di spunti di riflessione.

Mentre giravo in questa sopraelevata in auto senza sapere da dove ne venissi e dove andassi, con questa voce che proveniva dall’autoradio, deformata e solo in parte comprensibile, dove il gioco era ridotto a tenere l’auto in centro corsia di una strada deserta, ho avuto la sensazione che stessi facendo qualcosa che andava oltre alla dinamica del videogioco, pur utilizzandolo.

Alcuni momenti erano noiosi. Ecco: che il motore di un videogioco venga programmato per dare sensazioni attraverso il vuoto dei gesti e della noia è uno spunto di riflessione e di lavoro molto interessante.

Lo consiglierei? Sì, ma non a un videogiocatore qualsiasi. Qua siamo nel campo della letteratura elettronica o del videogioco artistico/narrativo.

24. gennaio 2020 by fabrizio venerandi
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