Detention: un videogioco per scoprire la storia contemporanea

screenshot da Detention

Dopo sette ore di gioco ho finito Detention. Mi infilavo nel letto a giocare a questo rilassante videogioco horror ambientato in un mondo di spiriti tipici della cultura e mitologia taiwanese che è abbastanza angosciante.

Di primo impatto Detention non sembra un grande gioco; sostanzialmente è un punta e clicca con alcuni elementi arcade qua e là. Alcuni snodi sono piuttosto grossolani a livello di gestione enigmi, ma il gameplay ha dalla sua alcune cose che colpiscono e tengono incollati allo schermo.

La prima è che la storia non ha una progressione logica: ci si muove seguendo indizi a incastro in un mondo che è completamente alterato. Siamo all’interno di un incubo che è composto da mitologie, realtà, frammenti del passato e anche gli “enigmi” che fanno procedere il gioco seguono la stessa non-logica del luogo che abitiamo. Non siamo alla raffinatezza di Gorogoa, ma alcuni snodi sono decisamente riusciti.

La seconda è che il gioco è stato programmato a Taiwan e – nella storia – si sente. È la prima volta da un po’ di tempo che percepisco il giocare a un videogame permeato da un certo tipo di cultura e di tradizione, molto lontana dalla mia. Gli spiriti che vagano per i livelli, l’uso di certi elementi grafici, l’estetica, i riferimenti storici. Il terzo capitolo, dal punto di vista grafico ed estetico, colpisce.

screenshot da Detention

Pur basando il tutto su una struttura tradizionale di gioco, c’è quel piccolo quid che istilla la curiosità di andare avanti all’interno di questo incubo: c’è – ed è un tema di cui parlavo un po’ di tempo fa – questo elemento di piacere del suono e della grafica; il videogioco ha in nuce questa possibilità di essere una specie di “strumento grafico-musicale” che “suona” a seconda di quello che il giocatore fa.

E questo è proprio dello strumento videogioco: né film né musica analogica hanno questa possibilità di essere dei semplici jukebox interattivi, esempi applicati di generative music.

screenshot da Detention

Man mano che procedevo nel gioco, mi rendevo conto però che tutto l’apparato religioso-tradizionale e lo stesso presentarsi come teen-horror, era di fatto un inganno. Più procedevo all’interno dell’incubo surreale del gameplay più emergevano i particolari biografici, storici e narrativi della protagonista.

Alla fine c’è davvero una storia, nascosta dietro l’incubo. Tutto il videogioco classico si rivela una quarta parete che copre un avvenimento tragico preciso, che ha le sue coordinate storiche e umane. Nel finale, inaspettato, il videogioco si mette da parte trasformandosi in una navigazione tra i ricordi alterati della protagonista.

Una volta finito il gioco sono corso a cercare informazioni storiche. Detention mi ha fatto scoprire alcuni fatti storici che non conoscevo come il 228 massacre e il terrore bianco e ristudiarmi – in generale – la folle situazione attuale politica di Taiwan.

Un videogioco come strumento per riscoprire la storia di un paese, per fare cultura, partendo da un racconto horror. E non è un caso, forse, che il videogioco successivo della casa, intitolato Devotion, uscito a febbraio del 2019 è stato rimosso pochi giorni dopo l’uscita da Steam e non è più in vendita, perché in un punto del gioco c’era un manifestino che irrideva il presidente cinese Xi Jinping.

screenshot da Detention

30. aprile 2020 by fabrizio venerandi
Categories: Interactive Fiction, Scuola, videogame | Leave a comment

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