Tutti i computer della mia vita

Questo post non ha assolutamente nessuna utilità pratica. Era una cosa che mi ronzava in testa, quella di rispondere alla domanda: ma perché oggi sono qua a usare un computer e farci cose? Come è iniziato il tutto? Ecco, così.

Lambda 8300

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Il primo computer della mia vita si chiamava Lambda 8300, ma io non lo sapevo. Sulla scatola c’era scritto solo YOUR COMPUTER. Era verde, molto verde, aveva i tasti gommosi come le morositas ed era compatibile con il Sinclair Timex 1000, computer non commercializzato in europa, quindi era compatibile con nulla. Era circa il 1983 e io amai il mio Lambda 8300 di un amore sincero per poco più di un anno. Fui ricambiato con la conoscenza del BASIC, la lingua del futuro. Il mio Lambda aveva 1k di ram, ma anche una generosa espansione a 16k. Se toccavo inavvertitamente l’espansione da 16k il computer si spegneva. Potevo registrare i programmi che scrivevo usando un registratore a cassette audio, di curiosa forma pentagonale. Con il Lambda scrissi il mio primo arcade, una specie di incrocio tra Gyruss e Galaga, ma il gameplay ricordava più gli scacchi da tavolo.

Apple ][+ compatibile

Aton II

Il mio secondo computer, 1984, fu un Aton II, ovvero un compatibile tailandese dell’Apple ][+. Rispetto all’Apple originale, il mio Aton aveva un tastierino numerico dedicato e la possibilità di usare anche le minuscole. Corredato da floppy disk da 5 pollici e un quarto, un miniplotter a pennini intercambiabili, una scheda ottanta colonne, una scheda Z-80 per il CP/M e un joystick a potenziomentri, l’Aton II fu il computer della mia vita, quello che ti rimane per sempre nel cuore. Con quello scrissi la mia prima avventura testuale in Applesoft Basic, il mio primo arcade che_andava_veloce, scrissi i testi del mud Necronomicon, feci i primi collegamenti alle BBS locali, a itapac. Aveva questo strano colore caffellatte che fa tanto cappuccino. Dopo il periodo purgatoriale di Lambda dove non potevo giocare a nessun videogioco se non scritto da me, con Aton II scambiai e giocai un numero impressionante di videogiochi, come Obelix e il paiolo.

Macintosh LC

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Visto che comprare un Apple IIGS non era cosa alla portata di un essere umano, il computer successivo fu il Macintosh LC. Fiammante, nuovo, vero Apple, con un mouse e con un paradigma completamente diverso di utilizzo. Fu un computer che tenni per un tempo lunghissimo, nove anni, dal 1990 al 1999. Con il Macintosh LC smisi sostanzialmente di programmare e entrai nelle delizie della GUI e dei programmi di impaginazione e fotoritocco: XPress, PageMaker, Photoshop. Continuai a entrare in rete, questa volta anche con Fidonet. Diventai un dipendente del Finder. Ad un certo punto scambiai il mio monitor a colori con un monitor in bianco e nero e continuai ad usarlo in bianco e nero. Non chiedetemi il perché.

Powerbook Duo 210

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Mentre ancora avevo il Macintosh LC, gli affiancai un Powerbook Duo 210. A differenza di quello in foto, il Powerbook Duo 210 era a livelli di grigio, lento, con una tastiera un po’ goffa. Ma aveva in se alcune cose dell’attuale filosofia Macbook: non aveva lettori cd o floppy, era piccolo e leggero e aveva solo tre porte nascoste nell’elegante retro. Fu un fedele compagno durante il servizio civile, il mio primo portatile in assoluto e con lui conobbi quello strano rapporto che si instaura con un computer che ti insegue dappertutto, anche a letto. Come certi gatti. O certi insetti se sei sfortunato. Con il duo reinstallai un programma per programmare in basic, il Chipmunk Basic e un prolog, con cui costruii alcune rudimentali radiosveglie.

iMac bondi blue

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Ricordo ancora che vidi per la prima volta l’iMac bondi blue con Maria Cecilia in alcune reclame. Erano degli ingrandimenti di particolari del case. Erano meravigliosi, per l’epoca. Ci innamorammo prima dell’estetica, poi della pratica. Lo prendemmo immediatamente. Paradossalmente fu uno dei computer che visse meno nella nostra casa, quasi subito sostituito con l’iMac DV tangerine. Con iMac riscoprii la bellezza di giocare ai videogiochi contemporanei.

iMac dv tangerine

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Comperai questo iMac con uno dei fratellastri di eBay, Aucland, poi acquisito e sparito nel nulla. Lo comperai vendendo contestualmente l’iMac Bondi Blue per due tre ragioni di una certa importanza: a) il tangerine non aveva la ventola; b) il tangerine ci girava la nuova versione di Tomb Raider; c) il tangerine era arancionissimo. L’iMac tangerine è l’altro computer con cui ho fatto tante cose, uno di quelli importanti. È stato il computer con cui ho abbandonato il Mac Os classico per approdare a OSX, ho scritto in LATEX, ho ripreso a codificato piccoli programmi, è stato il server di neoNecronomicon acceso 24/24.

Duo Dock

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Il Powerbook Duo era una follia della Apple anni novanta: un portatile ultraleggero che – in ufficio – si infilava in un dock come una videocassetta. A quel punto si trasformava in desktop con tastiera, monitor e periferiche. Il Duo Dock è stato un episodio di retrocomputing che ho rivissuto, un po’ come una macchina del tempo. Avevo un Duo Dock, a cui comperai una scheda ethernet per connetterlo all’iMac, un Powerbook Duo 270c e un Powerbook Duo 280c upgradato a 2300, con Power Pc. Andavo in giro con il Powerbook Duo e poi a casa trasferivo le cose che avevo scritto sull’iMac, o ci lavoravo con il Duo Dock. Fu una passione, breve ma intensa.

Powerbook G4 12”

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Il Powerbook G4 12” sostituì l’acciaccato iMac dv e i miei obsoleti Powerbook Duo. È stato un computer usatissimo e che mi ha accompagnato fino a fine corsa, anche se aveva molti problemi progettuali. Con lui ho scritto moltissime cose, romanzi e storie. Con lui è iniziata l’avventura di Quintadicopertina, ho imparato ePub, XML, XQuery, CSS, Python. Ho installato cose che non credevo possibili e – forse – è con lui che ho abbandonato la macchina da gioco per usare il computer in maniera più matura. Meglio tardi che mai.

Mac Mini

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Computer senza forma e senz’anima, difficile odiarlo, difficile volergli bene. Quando il minimalismo cupertiniano fa sparire la macchina. Come puoi amare qualcosa che non ti dà appigli, che non mostra la sua goffaggine, che non invecchia? La cosa più dolce di questa macchina sono le tastiere meccaniche cherry blu che ci attacco. Piccolo mainframe personale, su questo Mac Mini continua l’avventura di Brew, Imagemagick, php, Inkscape, Javascript e i grossi progetti ebook. È ancora qua nel 2019, con l’hard disk sostituito con una più veloce SSD e si appresta a diventare una delle macchine più longeve della mia vita. Su questa macchina ho iniziato a programmare anche il videogioco che sto facendo con figlio numero due.

Acer Aspir One

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Rubato per un anno a primogenito, è stato un portatile di emergenza su cui ho potuto finalmente provare e usare Linux. Esperienza più piacevole di quello che credevo. Linux, in questo caso Ubuntu, mi è sembrato qualcosa di simile a quello che era Apple II molti anni fa. Un sistema da smanettoni. L’hardware purtroppo non era all’altezza del compito e Ubuntu è bello finché funziona tutto. Quando qualcosa inizia a non funzionare, smette di funzionare. E quando chiedi aiuto tutti sembrano pensare che la colpa sia tua.

Macbook Air 11”

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Il portatilino. Comodo, veloce, anonimo. Non ha ancora lasciato il segno, non so se lo lascerà. È bello installarci sopra i programmi da terminale, personalizzarlo, farlo sempre più tuo e meno di Apple. La leggerezza e l’ostinazione di questo portatile ad essere sempre con me ad ogni ora del giorno e della notte a volte è l’inferno. Mi ha dato comunque la gioia di farmi riscoprire il mondo dei videogiochi alternativi quando ormai ci avevo messo una pietra sopra. Solo per questo gli devo molto.

16. novembre 2016 by fabrizio venerandi
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