Il mio prossimo romanzo: recensioni

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Che Venerandi sappia usare la scrittura è un dato; che il suo libro faccia ridere, pure. La sua immaginazione è così superfetante che vorresti realizzasse qualsiasi follia di cui sta parlando: Razzi e Cazzi, la sua nuova casa editrice con Il Pendolo di Focò, La rabbia e il cordoglio e I promessi sposi II: il ritorno di Rodrigo. I primi capitoli hanno un respiro breve, ottimo per i pendolari come me (che riflessione alta!), e si lasciano letteralmente bere. Ma è dal penultimo capitolo che il livello del libro sale e, per chi ha mai avuto l’ardire di scrivere, si tratta di capitoli amari. Venerandi scrive bene pure quando racconta cose dolorose. Riflessioni sul significato della scrittura, sulle aspettative di ogni scrittore, sull’ego di chi vuole essere pubblicato, sul valore di ciò che è pubblicato, sulla dipendenza dalla scrittura, sul rapporto tra immaginazione, scrittura e realtà, in uno strano percorso che sembra terapeutico (non so se è fiction, come direbbe lui) . Nel penultimo capitolo ho trovato una delle reinterpretazione più brillanti di Pastorale americana e uno story telling su Carver che non sfigura di fronte al racconto originale.

Giacomo Ambrosi

[...] dopo la lettura del suo prossimo romanzo, ho dovuto constatare che Venerandi è effettivamente un genio. ⭐️⭐️⭐️⭐️⭐️, o 👍 come diciamo noi giovani.

Gabriele Alese

ggere “Il mio prossimo romanzo” di Fabrizio Venerandi è un po’ come ascoltare un disco di Frank Zappa nel senso che già non capisci mai se è un live o un disco in studio che lui mischiava tutto e poi pensi ma questo pezzo l’avevo già letto su Lamerotanti quest’altro era girato in rete chissà dove perché Venerandi fa come Zappa smonta e rimonta e un dialogo che già conoscevi diventa un capitolo del romanzo e una canzone del ‘79 te la ritrovi anche in un disco dell’81 magari con la parte di basso presa da un altro pezzo. Comunque. Quando leggo Venerandi così come quando ascolto Zappa la parola che mi viene in mente è “beffardo” nel senso che loro se ne escono con queste cose geniali e umoristiche e tu te li immagini che ridono loro per primi quando queste cose gli vengono in mente e poi quando leggi e ascolti ridi pure tu ed è tutto un dissacrare un prendere in giro per non pensare alla disperazione. Poi però a un certo punto Venerandi in quasi tutte le cose che scrive parte con l’impennata cosmica ed è come Zappa quando parte con l’assolo di chitarra che quando Zappa canta è impossibile prenderlo sul serio e anche quando addobba i suoi pezzi di campanellini e rumorini vari ma quando parte con l’assolo di chitarra allora Zappa è come se ti dicesse adesso sono serio e tira giù note e lenzuoli di suoni ed è l’unico modo che conosce per parlare della morte dell’amore eccetera. Venerandi invece sia quando usa il tono beffardo sia quando gli parte l’impennata cosmica usa sempre parole quindi è un po’ più difficile distinguere i due momenti. Comunque Fabri’ il libro è bello ma quelle cose che dici su Topolino e Pippo in uno dei primi capitoli secondo me se ti legge la Disney ti porta in tribunale che voglio dire potrebbe essere la scusa per me per fare l’ennesimo viaggio negli Stati Uniti essere convocato a testimoniare in qualche alta corte di giustizia in California e dire sono sorpreso era un così bravo ragazzo salutava sempr

Federico Platania

Fabrizio Venerandi e il suo “il mio prossimo romanzo” sono magnetici, ti risucchiano, ti riportano ad una serie di personaggi che ti ricordano chiunque tu abbia conosciuto nella tua vita. Lo trasformano in un personaggio Fantozziano, usano le tinte sbagliate del Mondo di Amelie e lo rendono un fanta thriller noir con tinte rosa…

Stefano Erba

Posalo pure sul tavolo.

Mio padre

E insomma, c’è poco da fare: “Il mio prossimo romanzo” è davvero un bel libro. Inizia con un periodo lunghissimo, una sorta di “statement artistico” che scaraventa il lettore nella mischia dando anche l’idea della lingua fluida e aggressiva che caratterizza molti dei lavori di Fabrizio. A differenza di altri suoi libri, questo è organizzato in capitoli abbastanza brevi articolati in una struttura molto semplice. Quindi, niente capitoli fuori sequenza come ne “L’ultima avventura del signor Buonaventura”. Questa scelta rende la storia ancora più avvincente e offre al lettore diversi punti di vista. In questo modo, si entra nell’universo de “Il mio prossimo romanzo” attraverso una molteplicità di prospettive. Quella del fratello Ivano, dell’amico intento a girare un film di avanguardia che mischia videogiochi e pornografia, oppure della misteriosa protagonista di Bisanzio. E poi ci sono i dialoghi con Marco che ricordano una sorta di telecronaca, di commento all’azione che si delinea nel testo (l’idea è quella del coro greco: ovviamente, me lo ha spiegato Fabrizio, io ho fatto l’ITIS). E proprio grazie all’impianto semplice, Fabrizio costruisce una sovrastruttura dove la trama è quasi inutile, come fosse il pretesto per seguirlo nel suo ragionamento. In questo modo, ci troviamo tra le mani un libro al limite del meta-testo, proprio grazie alla minuziosa operazione di costruzione dei piani narrativi. In pratica, Fabrizio esce ed entra continuamente dal suo romanzo. Lo fa per indicarci suggestioni e per parlare di scrittura, soprattutto quando non c’è nessun lettore che sta aspettando quello che stai scrivendo. Nonostante diverse irruzioni in temi non proprio leggeri (ad esempio, la frustrazione e il rapporto conflittuale con una determinata classe sociale), “Il mio prossimo romanzo” è dannatamente divertente. Questo è – secondo me – il vero “manico” di Fabrizio Venerandi: il riuscire a piazzare i sentimenti nei meandri più inaspettati del testo. Proprio come se fossero metaforiche macchioline di ruggine sul metallo o grumi di zucchero nel caffè, Fabrizio deturpa o abbellisce continuamente la narrazione per suggerire al lettore concetti o stati d’animo.

Luca Caviglione

La scrittura ironica di Venerandi è pervasiva. È intrinsecamente bella, piacevole ed arguta. “Il mio prossimo romanzo”, il cui titolo ha già in sé i germi dell’autoreferenzialità e dell’autocontraddizione, è in realtà un ibrido: metà romanzo e metà metaromanzo. È un viaggio nella creatività e nella disperata velleità di venire pubblicato di uno scrittore che, con una certa cautela, si sovrappone al Venerandi reale. È quindi un romanzo cautobiografico, la cui trama si ordisce leggera come dedalo di vicoli, di dialoghi, di situazioni che si sviluppano intorno ai suoi personaggi. Questo dedalo non ha un centro vero e proprio, e una delle caratteristiche affascinanti del romanzo è proprio questa vocazione rizomatica, in cui le perle principali non sono nelle piazze, ma in vicoletti narrativi qualsiasi; la struttura mi ricorda Genova, i suoi fascini nascosti, le sue nicchie, i suoi vuoti. La lettura risulta davvero piacevole, anche perché Venerandi ha questa abilità innata di saper alleggerire temi pesanti e appesantire temi leggeri, e così ci si ritrova a galleggiare nella sua scrittura, sempre pronti ad essere spiazzati da eleganti evoluzioni (o beffardi capitomboli) stilistiche e narrative che portano i personaggi del romanzo ad intrecciarsi tra loro e con l’autore su piani di realtà surreali ma sempre tangibilmente umani.

Francesco Robbiano

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