Quello che penso dell’intelligenza artificiale è irrilevante

A volte persone mi chiedono cosa ne pensi dell’intelligenza artificiale, di questo o di quel progresso, dell’ultima novità o di quella o quell’altra posizione in merito. Questo perché da sempre sono stato interessato all’uso dell’informatica per generare materiali di scrittura, audio o video e negli ultimi anni sono corso subito a testare questi nuovi modelli, Chatgpt, Suno, Luma, Hailuo AI e tanti altri, facendoci anche delle cose interessanti, credo. In contemporanea, in rete, sono apparsi messaggi di persone assolutamente entusiastiche di questi nuovi software e altre che sono invece fortemente scettiche.

Entrambe hanno prodotto tesi e antitesi che sono ormai materiale comune e che si possono facilmente leggere per farsene una idea.

In molti, specie tra gli entusiasti, c’è un elemento provvidenziale, non volevo scrivere provvidenziale. Mi sfugge il termine. Apocalittico va meglio. Ma non è comunque quello che avevo in mente. L’idea che quello che abbiamo oggi sia comunque il preludio di qualcosa di enorme, che cambierà la nostra vita, e che dobbiamo da subito, il più velocemente possibile, abbracciare. Che l’intelligenza artificiale sia un elemento dirompente e che più ritardiamo a farlo nostro, più pegno pagheremo noi. Che ci sia una prodigiosa apocalisse in arrivo e che dobbiamo essere preparati. Farci trovare svegli con la luce accesa nel momento in cui arriverà la cosa, eccetera. Il concetto è semplice e gioca sul disagio di essere di fronte a qualcosa di sconosciuto che potrebbe tanto danneggiarti, tanto aprirti a nuove possibilità.

Dall’altro lato abbiamo chi indica col dito le ferite di questi software generativi, primo fra tutti l’essere stati addestrati su un numero spropositato di contenuti generati (umanamente) da persone che erano all’oscuro che i loro racconti, disegni, film, brani musicali, codice software avrebbero aiutato questa o quella azienza transanazionale a creare un addestramento che – anche grazie al loro materiale – su quell’addestramento avrebbe fatto profitto (tema anche dell’ultimo video di Sio uscito ieri).

Torniamo alla domanda iniziale, cosa ne penso io. La risposta – sincera – è che quello che penso io è irrilevante. E – da persona curiosa dei fatti – trovo che buona parte del dibattito sull’intelligenza artificiale che si legge in rete sia irrilevante. Accanto a persone che parlano con competenza di cose di cui hanno conoscenze ed esperienze professionali, c’è un numero importante di persone, anche con discreto seguito, che moltiplicano una fuffa epistemologica sulla natura e sulle funzioni della cosiddetta intelligenza artificiale di cui – fra qualche anno – proveremo imbarazzo. Loro magari no, ma noi sì.

È irrilevante quello che penso.

Ma se proprio qualcuno vuole sapere cosa ne penso, credo che questi motori generativi siano arrivati e non se ne andranno. Sono arrivati in maniera sprezzante e con l’idea di fare saltare alcuni tavoli del gioco (tipo il diritto di autore), per rifare regole che fossero a loro vantaggio. Perché senza questo cinismo nel creare l’addestramento avrebbero fallito. Credo che questa loro rivoluzione sarà ridimensionata via via che se ne accerteranno i limiti. Ma passerà ancora del tempo perché i limiti sono in continua ricollocazione. Credo che siano software generativi affascinanti, capaci di far produrre contenuti di alta qualità a persone che non ne avrebbero altrimenti le competenze. Penso che – molto banalmente – siano strumenti generativi come ce ne sono stati tanti prima di loro, anzi, l’uso del prompt testuale per alcuni aspetti è un ritorno all’uso di statement, di comandi dati ai propri computer per ottenere qualcosa, un processo non tanto diverso da quello che negli anni ottanta ci spingeva a inserire “prompt” alla cieca nei primi home computer casalinghi. Quello che voglio dire è che non credo che l’IA modificherà davvero il concetto di artista o di scrittore come lo conosciamo oggi. È comunque uno strumento di cui devi conoscere le regole per poter dare input ragionati e ottenere output utili. È software.

Penso che ci sarà un progressivo “digital divide”, non tanto tra coloro che “sanno creare prompt” e quelli che no, come alcuni vanno dicendo, ma tra coloro che sanno usare le intelligenza artificiali e quelli che le sanno usare, ma hanno anche le capacità (artistiche, culturali) di poterne farne a meno. Chi sa disegnare, chi sa suonare, chi sa programmare o fare un montaggio video senza questi software generativi ha più possibilità creative di chi invece è limitato solo a platinare i prompt sperando che le uscite via via arrivino a quello che hanno in mente.

Anche perché – e poi chiudo – man mano che procederanno questi modelli generativi ci sono ancora due cose che secondo me potrebbero avverarsi. La prima è che il prodotto del software generativo perderà di valore. Nel momento che chiunque con un buon prompt potrà generare “cose”, quelle cose diventeranno degli standard, non saranno percepiti come elementi dirompenti. E non mi stupirei che gli elementi umani, sfacciatamente umani e non standard, verranno invece percepiti come portatori di valore. L’aspetto della creatività che non riesce ad essere ridotta a una temperatura randomizzata. Il secondo, che viaggia in parallelo, è che se il prodotto perderà di valore, sarà invece la performance a diventare il punto di forza di questi software generativi. Non è l’uscita che mi dà qualcosa, perché verrebbe facilmente standardizzata, ma l’allestimento di un panorama di possibili uscite con il quale l’utente interagisce. Non è il prompt che crea il buon prodotto, perché il prodotto è il momento dell’interazione tra utente e software generativo attraverso i suoi prompt (ne avevo parlato anche qua).

Come ricordava tempo addietro Leopardi, del prodotto ci si annoia. Il piacere si logora. Ma il panorama, specie un panorama che è in continua mutazione, per sua natura non riesce ad essere compreso nella sua interezza, saltiamo continuamente da un punto all’altro senza mai trovare appagamento. E questo – per il mercato – è essenziale.

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