Ieri sera Elettra mi invia un link ad un video Instagram dove un uomo in lingua araba presenta un nuovo negozio, “Nutella Sweet Cafe”, entrando all’interno del locale stesso, molto elegante e lussuoso, una caffetteria appena aperta, a Gaza. “Sarà vero?” mi chiede Elettra, e iniziamo a cercare in rete informazioni.
Parto dai commenti al video, sono tutti in arabo e sono molto interessanti. Io non conosco l’arabo, ma il servizio di traduzione di Instagram mi restituisce una prima traduzione, molto confusa e maldestra, tanto che dopo un po’ inizio a incollare su Google translate o usare Bing per capire meglio.
I commenti, levati due o tre che fanno i complimenti all’uomo per avere aperto una attività in un momento tanto cupo, sono tutti di persone che – apparentemente – sono a Gaza e ritengono l’idea di aprire un negozio di degustazione caffè e Nutella un affronto. “Fai la strategia del nemico”, dicono alcuni, “sei un sionista!” urla un altro. Altri contestano la scelta di usare marchi occidentali, che andrebbero boicottati. Altri ancora dicono che video come quelli fanno passare l’idea che a Gaza si stia bene, mentre c’è la fame, e solo i ricchi che guadagnano dalla guerra potranno entrare in quel negozio, non certo la gente comune. Altri ancora si chiedono come mai Israele non fa passare le uova, ma invece permette che la Nutella arrivi a Gaza.
Lo stesso video viene rilanciato su profili e siti filo israeliani dove i commenti sono in inglese ed ebraico che – in genere – ironizzano sulla “falsa carestia” propagandata dai palestinesi. “Ecco la carestia di Pallywood!” scrivono.
Con Elettra continuiamo a cercare di capire se il video sia reale, se sia girato proprio nel settembre del 2025 e se il negozio sia davvero nel centro di Gaza. Incrociando un po’ di informazioni trovate su siti e profili diversi riusciamo a trovare la via dove dovrebbe essere stato aperto il negozio di Nutella.
È una via con diverse attività commerciali, situata di fronte ad un centro per la comunicazione palestinese, Jawwal Company. La cerchiamo su Google Maps.
Non riusciamo subito, i nomi sono in arabo e la modalità con cui sono scritti in lingua occidentale non è sempre omogenea, ma dopo un po’ di tentativi troviamo la via indicata in un sito web israeliano dove effettivamente c’è il centro per le comunicazioni indicato in uno dei commenti al video.
Zoommiamo sulla via e poi abilitiamo le immagini satellitari. Google ci mostra una via di una città come tante altre, indica che ci sono dei negozi, ci segnala la presenza dello stabile di Jawwal Company. Guardando, non c’è niente che porti a pensare che quel posto non sia adatto per l’apertura di una caffetteria Nutella.
Poi iniziamo a fare zoom out.
Quando l’immagine satellitare si allarga iniziamo a vedere il tetto della Jawwal Company che però sembra essere in parte sfondato; più si allarga la visione più le case scompaiono lasciando il posto a cumuli di detriti, i palazzi sono sostituiti da pixel grigiastri, larghe zone distrutte da bombardamenti. Continuando a zoomare e spostarci arriviamo al vicino campo da calcio: è completamente coperto da tende bianche. È stato trasformato in una tendopoli.
Visto così, il negozio di Nutella è stato inaugurato nel mezzo di palazzi sfondati, gente sfollata che vive in tende, quartieri con palazzi che sembrano integri accanto ad altri ridotti in macerie.
Mentre richiudevo tutto pensavo, cosa mi insegna questo?
Mi insegna che la realtà è molto più complessa delle semplificazioni e delle banalizzazioni polarizzanti che arrivano poi nei siti di informazioni e comunicazione generica. Che è contraddittoria e che – ad esempio – i diversi attori di un conflitto in corso ne prendono le parti a loro utili per portare avanti il proprio disegno politico.
Che – alla fine della nostra piccola ricerca serale – abbiamo un quadro ancora più confuso, perché è più complesso, dove – probabilmente – davvero qualcuno ha aperto a Gaza oggi un centro Nutella, dove – probabilmente – pochissimi hanno i soldi per andarci e moltissimi altri ne sono invece esclusi. Una complessità dove – probabilmente – qualcuno ha interesse che quel locale esista e che diventi virale.
“Probabilmente”: non abbiamo nessuna certezza, stiamo solo raccogliendo residui e briciole dell’informazione minima generata dal basso, rimbalzata, condivisa, commentata. Siamo così, seduti, nel salotto di casa nostra a migliaia di chilometri di distanza.
La seconda cosa che questa cosa mi insegna è la potenza del digitale. La possibilità che abbiamo di andare a leggere con pensiero critico quello che viene diffuso in rete. Saranno anche briciole e frammenti, ma messi assieme danno una idea di realtà e di conflitto, andando oltre la propaganda di questa o quella fonte di informazione; confrontando dati discordanti, cercando fonti dirette, analizzandole, saltando da piattaforma a piattaforma fino ad avere un qualcosa che magari ci mette anche in crisi.
La terza cosa: questi sono strumenti che sarebbe bene mostrare e fare usare ai ragazzi in classe per esercitarli al pensiero critico, alla ricerca delle fonti, al non accontentarsi della prima notizia che si trova scorrendo con il cellulare il flusso continuo di disturbo e informazione residua.
Anche se altri pensano invece che i cellulari in classe debbano restare spenti ad ascoltare la mia voce che dice qualcosa da ricopiare – rigorosamente a mano.