Innamorarsi di un ebook reader 2/X

Il lettore integrato dell’Onyx Boox Note 3 si chiama Neoreader, legge PDF, EPUB, CBZ e altri formati, permettendo anche di annotare e salvare le annotazioni prese a mano libera. Come lettore di EPUB è piuttosto discutibile, ha diversi limiti nella visualizzazione di ebook tipograficamente complessi e bypassa in maniera disinvolta le indicazioni grafiche CSS degli editori. Non sarebbe nemmeno da prendere in considerazione e – in effetti – è possibile installare lettori EPUB più capaci, come KOreader, Moon + Reader e anche lettori EPUB3 come Gitden reader o Namo Reader (sì, è possibile leggere EPUB3 su e-ink).
Non sarebbe nemmeno da prendere in considerazione se non fosse per una feature piuttosto intrigante per chi, come il sottoscritto, usa l’ebook reader principalmente per studiare: Neoreader permette di prendere appunti a mano libera anche su un EPUB.
Ora, non si tratta di una feature del tutto inedita, già uno dei primissimi Sony permetteva di fare qualcosa del genere. Si tratta anche di una feature molto fragile: una volta che si inizia ad annotare a mano un EPUB è bene non variare più font, margini, interlinee, sillabazione, altrimenti – variando l’impaginazione del testo – le nostre annotazioni manuali rischierebbero di spostarsi, ridursi, distruggersi.
Il fatto è che funziona. Alla faccia di ogni razionale utilizzo dei segni, la possibilità di scribacchiare un testo mentre lo si studia, di proseguire anche in digitale quella formalizzazione impura delle sottolineature, freccette, simbolini e piccole scritte a lato, funziona. Il fatto che il pennino sia estremamente preciso, che si possano avere segni di matita, penna o evidenziatore, permette di avere quella vecchia e cara mappa geografica del sapere a cui siamo abituati dalle scuole elementari. Segnando queste pagine vivo un vero e proprio sentimento contraddittorio: da un lato apprezzo il grosso sforzo digitale messo in atto per avere, anche in un documento reflow, una modalità rapida ed efficace per studiare ed annotare; dall’altro questo metodo non è davvero digitale, si tratta di una convergenza tra due mondi diversi di gestire l’informazione.
La seconda cosa che il Note 3 permette, e che per me è un sogno che si avvera, è il fatto di poter usare l’ebook reader per leggere e sottolineare; e poi – in un secondo tempo – ancora l’ebook reader per studiare le pagine già lette schematizzandole in un blocco appunti.
Una volta annotato l’EPUB, Neoreader permette infatti di esportarne le pagine annotate e creare un PDF da affiancare all’applicazione per prendere note a mano libera. Lo schermo si divide in due, metà ebook reader segnato a mano, e metà quaderno/blocco note. Anche in questo caso mi trovo davanti a una soluzione spuria: un oggetto digitale che mi permette di integrare assieme diversi strumenti che in origine erano analogici.
Questa soluzione che potrebbe sembrare a breve respiro, ha un vantaggio: ancora, funziona. Non si tratta di una reinvenzione dell’annotazione in digitale, né di una applicazione per aumentare i contenuti di un ebook con oggetti digitali, ma una “semplice” traduzione in digitale di gesti e prassi nate per la carta. Eppure, forse per questo, permette di studiare e di prendere appunti con uno strumento digitale compatto con più rapidità e meno distrazioni rispetto a soluzioni di piattaforme potenzialmente più potenti ma anche più dispersive.
Mentre studio nella penombra e prendo appunti in e-ink ascoltando la musica che il lettore manda via bluetooth allo stereo, non posso pensare che – paradossalmente – questo oggetto sia una delle cose più funzionali e avanzate digitalmente che mi siano capitate fra le mani per studiare testi in maniera “tradizionale”.
Così avanzate che – forse – per la prima volta mi viene da pensare che un libro sia davvero più scomodo rispetto ad un lettore di libri digitale.
Il 2021 non sarà l’anno degli ebook
Altre considerazioni personali sul libro digitale e sull’approccio a contenuti in rete (in questo caso i moodle di Coursera) con uno strumento che utilizza caratteristiche ibride come un tablet e-ink.
Sono arrivato all’ultima settimana di un corso Coursera sulla Spagna medievale e sulla coesistenza tra ebrei, arabi e cristiani. Il corso – ad essere onesti – mi ha interessato più per le metodologie usate che per i contenuti che ho trovato discontinui. In questo caso la quinta settimana propone quattro reperti storici.
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Innamorarsi di un ebook reader 1/X

Quando ero ragazzino Luca Accomazzi aveva scritto in una rivista chiamata Super Apple un articolo che ricordo ancora oggi. Il titolo era qualcosa del tipo “Ci si può innamorare di un computer?”. Il computer in questione era l’Apple //c e la risposta era ovviamente sì, dannazione, sì.
Il titolo mi torna in mente oggi e lo rideclino con un titolo diverso: ci si può innamorare di un ebook reader? Ecco, se l’ebook reader è il nuovo Onyx Boox Note 3 forse un pochino sì. Continue Reading →
Vivere mille vite e altri mostri di fine livello
Ho finito di leggere Vivere mille vite di Lorenzo Fantoni. È un testo che ho letteralmente divorato, che consiglio a chiunque sia interessato al mondo dei videogiochi, e che mi ha fatto riflettere su diverse cose.
È un testo facile da leggere e alla fine della lettura si sa qualcosa di più dei videogame e della loro storia, delle tante sfaccettature di un mondo che ha appena iniziato a camminare e sta già creando cose importanti e grosse.
Perché la storia di Fantoni sarà anche familiare (e lo è) ma è prima di tutto una storia dei videogiochi, qualsiasi percorso si decida di prendere alla fine si avrà una idea della nascita, dei problemi e dei progressi di questo nuovo media.
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Usare e-ink senza leggere ebook

Recentemente in uno dei corsi di letteratura elettronica è emersa una domanda che di tanto in tanto ancora appare in gruppi di lettura e di auto-aiuto in genere: ma perché fare/leggere ebook su e-ink? Continue Reading →
Eadem sed non eodem modo fare (aka “della generative music”)
Una delle cose che mi ha più affascinato nell’ultimo decennio, nel mondo della musica elettronica, è stato l’esperimento di Gwilym Gold, Tender Metal: un album di musica pop/elettronica basato sulla mai decollata tecnologia Bronze, con la quale un brano ri-arrangia se stesso ogni volta che viene eseguito.
Le canzoni sono sempre le stesse, ma non si ascoltano mai nello stesso modo. Per dirla con Seneca, “Eadem sed non eodem modo facere”.
Tender Metal è stata una delle ispirazioni dirette di alcune sezioni delle mie Poesie Elettroniche.
Ieri ho preso un iPad ottava generazione per riscaricare la App e riascoltarlo e ho scoperto – con un po’ di delusione – che l’App era scomparsa e che non c’era più modo di ascoltare l’album.
Delusione durata poi poco perché – per caso devo dire – sono finito in una pagina (credo non aperta ufficialmente al pubblico perché non trovo nessun modo di arrivarci con un percorso intelligente) in cui tutto l’album è ascoltabile in rete con le stesse caratteristiche rigenerative dell’App di iPad.
Metto qua il link per chi volesse provare: il tasto Regenerate fa partire la musica. O la fa ri-partire, con qualche strumento diverso, arrangiamento differente, microvariazioni.
Temo che prima o poi verrà rimosso anche questo link, quindi: carpe diem e buon ri-ascolto.
La colpa è comunque degli studenti
Ad alcuni colleghi che mi dicevano che non dobbiamo accettare su Meet alunni senza account scolastico e che gli studenti devono tenere la webcam accesa sempre perché altrimenti chissà cosa fanno, alla fine ho detto cosa ne penso della cosa, ovvero che IMHO questa didattica digitale non è digitale.
Che attuare la stessa sorveglianza che abbiamo in classe, a distanza, è un grosso abbaglio didattico.
Abbiamo trasportato la lezione frontale da una stanza chiusa a un canale per fare meeting d’ufficio, tenendo le stesse tempistiche dell’orario scolastico, anche quando non ce ne sarebbe nessuna necessità.
Il digitale funziona diverso.
Io mi metto ogni tanto nei panni di uno studente che si sveglia alle otto meno dieci, si siede con uno smartphone davanti e poi resta a sentire una voce in low-fi che parla a scatti per sei ore di seguito. E a guardare un video con una faccia in primo piano che parla a scatti.
Sei ore.
Io quando seguo i corsi di Coursera, da studente, dopo tre ore sono alla frutta, ho bisogno di staccare, rilassarmi e riprendere più tardi e parlo di corsi in asincrono con esercizi, interruzioni, audio perfetto, che seguo con un portatile di fascia medio alta.
Figurati questi qua che ci devono stare dietro con connessioni alla sperindio, cellulari Android che collassano dopo tre/quattro ore perché non sono certo nati per fare videoconferenze per tempi così lunghi o il disagio di chi dovrebbe farmi i compiti di italiano con la tastierina dello smartphone e l’autocorrezione di Android.
Si finge che la scuola italiana abbia dato a ogni studente un notebook adatto per la connessione e la didattica digitale, che ogni scuola abbia una gestione ineccepibile delle mail scolastiche e del supporto a distanza, che ogni appartamento abbia connessioni di rete a banda larga.
Anzi, si pretende che gli studenti partecipino a questa finzione collettiva, pena l’accusa automatica che siano loro in colpa, che non ne abbiano voglia, che ci marcino sopra.
Che poi, anche fosse, è nella natura dell’uomo farlo. Semmai dovremmo meravigliarci che così tanti non lo facciano.
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Avventura in classe

Avventura in classe è una brevissima avventura che ho realizzato in Twine per provare a parlare di narrazione/gioco in una seconda professionale, nel periodo della “didattica a distanza”.
I ragazzi, specie al biennio, giocano costantemente ai videogiochi, declinati nella loro versione “partita di pallone”: si vedono tra un’ora e l’altra (o durante le ore) ad Among Us, o altri giochi in rete, in rapide partite socializzanti.
L’idea era di mostrare come anche la scrittura possa creare gioco narrativo, con tecniche non troppo dissimili da quelle del videogioco. Come già avevo fatto con Una visita al museo si possono riutilizzare strumenti tipici dei videogame (punteggi, sfida, interazione) per acquisire competenze digitali e di narrazione.
Se Una visita al museo era un gioco interattivo in cui gli studenti si sfidavano per ottenere il punteggio più alto (e – mia soddisfazione personale – al mio invito a staccarsi perché era finita l’ora, mi hanno chiesto di continuare per arrivare alla fine), l’esempio di Avventura in classe mi è servito per chiedere, agli studenti che avessero voluto, di provare a scrivere loro una storia in Twine.
Il risultato sono state sei storie di Twine, molto semplici, ma che hanno messo alla prova una competenza di gaming narrativo che difficilmente si esercita a scuola.
Le avventure sono state date in pasto al resto della classe che, su un foglio condiviso di foglio di calcolo, ha valutato poi i diversi aspetti delle storie (bella storia, scrittura, interattività) facendo anche un lavoro di valutazione tra pari.
Mostro questi piccoli esempi non solo per dare qualche idea in questi mesi di DDF (didattica digitale forzata), ma anche per dire che – no – la didattica digitale sincrona non è migliore di quella asincrona, né più socializzante. Al contrario. È molto spesso uno scimmiottamento dei tempi, delle modalità e delle sorveglianze che si fanno in presenza, rivoltate nel digitale.
La costruzione di unità didattiche digitali, l’uso dei tempi asincroni, l’uso soprattutto di piattaforme in cui lo studente possa fare cose, pensate per l’interazione tra gli studenti e non per attività di ufficio e riciclate per la scuola, ecco, questi sarebbero punti di partenza importanti per fare sempre didattica nel digitale.
The Longing
The Longing, programmato dallo Studio Seufz nel 2020 si apre con questo antefatto: il nostro signore, un enorme re di pietra, si sta per addormentare nelle cavità del mondo. Deve riposare, per 400 giorni. Lascia noi, una piccola ombra nera, con il compito di risvegliarlo al termine del sonno.
Cosa è The Longing, Un videogioco? Una simulazione? Un gioco di esplorazione? Una parabola?
Iniziando a giocare ci troviamo di fronte a uno strano platform che ingloba al suo interno i meccanismi del gioco di simulazione e quelli della avventura punta e clicca, in cui il tempo di gioco coincide con il tempo reale. Se, per dire, ci troviamo di fronte a una roccia che ci blocca il percorso e vogliamo provare a romperla con il piccone, il protagonista del gioco ci avvertirà che serviranno almeno due ore per farlo. E saranno due ore reali. Se diciamo al protagonista di leggersi un libro di Nietzsche, lui si siederà e lo aprirà e ci troveremo di fronte al testo integrale di “Thus Spake Zarathustra”, e il nostro personaggio inizierà a leggere girando le pagine, o aspettando che noi le giriamo per lui, leggendo con lui il libro…
The Longing è anche un gioco che sappiamo già quando finirà: fra 400 giorni.
Non un giorno di più, non uno di meno.
Almeno così ci viene detto all’inizio del gioco.
Dopo qualche ora di gioco l’impressione che si ha è che il programmatore abbia infilato in un frullatore Pitfall II, Sim City, Lemmings, Lifeline, Little Computer People e un tamagotchi e abbia premuto il tasto di accensione.
Il tempo in The Longing – in realtà – non corrisponde esattamente al nostro tempo, pur essendone legato. C’è un contatore che indica quanti giorni, ore, minuti e secondi mancano al momento in cui dovremo risvegliare il nostro re, ma questo contatore non è sempre allineato al tempo del lettore/giocatore.
Quando il personaggio si rilassa o si diverte, il tempo passa più velocemente. In altri posti, al contrario, il tempo letteralmente, non passa mai.
È dunque un tempo variabile, non propriamente uno spazio-tempo, ma un tempo che esiste e muta a seconda di quello che il personaggio fa.
Resta però ancorato al nostro: qualche notte fa un piccolo ragno stava tessendo una tela sulla quale la mia ombra sarebbe passata. Ma a mezzanotte e mezza la rete del ragno era ancora troppo fragile per sostenere il mio peso.
Così ho chiuso il portatile e mi sono addormentato.
Stamattina sono sceso al piano di sotto, ho messo su il caffè, ho riaperto il portatile e – nel corso della notte – il ragnetto aveva terminato la tela. Il mio personaggio si era addormentato anche lui, per terra, l’ho risvegliato e così abbiamo potuto proseguire il cammino e scoprire altre parti del sotterraneo.
Man mano che il tempo scorre The Longing continua a rompere gli schemi del videogioco.
Ad un certo punto il mio personaggio di The Longing è morto. Male. Sono rimasto a fissarlo riverso a terra mentre aspettavo che il programma mi dicesse che il gioco ricominciava, o da che punto sarebbe ripartito il salvataggio. Invece è apparsa una scritta che diceva che la mia fuga dalla solitudine era stata un fallimento.
Che la mia anima si era ammutolita.
Sono uscito dal gioco, l’ho riaperto e mi ritrovato di fronte al mio cadavere. Il gioco non poteva andare vanti perché il protagonista era morto. E, come nella vita, non c’è sempre modo di rimediare.
Non solo The Longing inserisce il tempo facendo sì che il gioco continui anche quando non giochiamo, ma prevede anche la fine del tempo. La morte è un finale di partita.
Ci sono altre cose molto belle in The Longing: la cura nei suoni, la funzionalità della grafica, il senso del mistero di un mondo da svelare e capire, il rapporto con il mondo esterno, le paure e le angosce del protagonista e la possibilità di vincerle. Alla fine The Longing è un gioco che parla del ruolo che abbiamo scelto nella vita di tutti i giorni, di quello che desideriamo davvero, della possibilità di fare delle scelte e di come queste scelte – spesso – sono irreversibili.
Un gioco apparentemente piccolo e semplice, con un gameplay lentissimo, ma che scardina le normali meccaniche del videogioco, riprende idee e progettazioni diversi dell’idea di mondo, e le mette assieme, in maniera organica, per creare un mondo coerente e originale, con misteri e luoghi che solo con grande pazienza si possono – forse – svelare.