Apple, nativi digitali e informatica

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Il 10 settembre Apple ha annunciato alcuni nuovi prodotti consumer: tablet, smartphone, orologi e tv. Niente computer. La cosa ha annoiato il buon Paolo Attivissimo che ha scritto sul suo blog un articolo molto caustico nei confronti di Apple. Un punto è interessante, sul quale sono in disaccordo con Attivissimo, che quoto:

Guardate i giovani di oggi: sanno usare un iPhone perché l’hanno da sempre. Per loro passare a un iPad è naturale: stesse icone, stessa interfaccia, stessa filosofia. Passare a un PC o a un Mac, per loro che non ne hanno mai usato uno, è uno sforzo di apprendimento massiccio (santo cielo, chi usa iOS non vede neppure il filesystem e trova alieno il concetto di cartella, figuriamoci path e directory, o di salvare i dati): ditemi voi perché dovrebbero farlo, ora che c’è un super-tablet che ha una tastiera e un dispositivo di puntamento di precisione? L’iPad è un complemento al computer; l’iPad Pro è un sostituto. Un Mac o un PC, per chi ha oggi undici o dodici anni e non ha memoria di come fosse il mondo prima degli iCosi, sono inutilmente macchinosi e arcaici come lo è per me una macchina per scrivere.

Ora: chi mi legge da più tempo, anche su TEVAC, sa che in realtà sono in perfetto accordo con Attivissimo su questo rischio di formazione di post-nativi digitali. Questa cosa che ho scritto nel 2010 sembra un’appendice al pezzo di Attivissimo di ieri. Ma il post di Attivissimo contiene – a mio parere – alcuni caveat che vanno sensibilmente ridimensionati e contestualizzati (spoiler: il caveat più importante è il 4)

  1. La tesi di Attivissimo è che una macchina entry level finto-computer possa dirottare i post-nativi digitali, i ragazzini, verso questo iPaddone con tastiera al posto di un buon sano personal computer. Il problema, per ora, di questa testi è che è irrealistica. Sarebbe un reale pericolo se Apple avesse lanciato il suo iPaddone con tastiera e contestualmente avesse tolto dalla sua linea i notebook entry level. Ma così non è. Chi vuole può continuare a comprare computer Apple e avere un completo potere sulle sue macchine.
  2. Ma ancora di più: l’iPaddone non è una macchina entry level per ragazzini, anzi, è un pezzo per professionisti. Anche per il prezzo. Ad oggi un iPaddone con tastiera e pennino, nella sua configurazione base, costa oltre 1050$ (oltre i 1250 nella configurazione con un po’ di memoria in più). I due macbook air a 11 e 13 pollici costano, rispettivamente, 899$ e 999$. Avete letto bene: l’iPad pro con tastiera e pennino costa di più di un personal computer Apple. Non mi stupirebbe, anzi, che le vendite dell’iPaddone sostengano in qualche modo anche la linea computer di Apple.
  3. Apple non è di per sé cattiva, è che la disegnano così. Mi rendo conto nelle discussioni in rete quotidiane che buona parte dell’astio che avvolge la casa di Cupertino nasce e si sviluppa per la deformazione della realtà che il marketing di Apple riesce a creare attorno a sé. L’hype di Apple genera i mostri della ragione. E crea – di ritorno – uno snobismo al contrario dove tutto quello che fa Apple è automaticamente il male. È bene dirlo: molte cose di Apple sono ottime. Molte macchine, confrontate con altri modelli, sono discutibili in questa o quella scelta, ma eccezionali sotto molti aspetti. La solidità e la coerenza del suo sistema operativo è ancora oggi ammirevole.
  4. Il punto più importante. Le nuove generazioni. Io credo che il rischio paventato da Attivissimo, di ragazzini che usano app, invece che creare app, sia concreto. Ma che sia un rischio che solo in parte dipenda dal walled garden di Apple o Android, quanto da un percorso di conoscenza del mezzo che non può essere lasciato al caso. Nello specifico:
    • la vera generazione di nativi digitali è la nostra, parlo di quelli che negli anni ottanta hanno visto arrivare gli home e personal computer nelle loro case e hanno aperto le braccia a quei cosini attaccati al televisore che, una volta accesi, mostravano un READY e un cursore lampeggiante. Questa generazione è stata fortunata. Questa generazione ha la responsabilità di fare in modo che l’informatica non sia una parola relegata al vocabolario dei termini desueti, ma che diventi una prassi educativa per chi inizia oggi a usare un computer, in qualunque forma questo si presenti;
    • non siamo soli. Chiunque abbia partecipato a un CoderDojo avrà visto la bellezza di decine e decine di teste di ragazzini, ragazzine, bambini e bambine che codano, scherzano, giocano programmando assieme. Strange but true, programmare è anche un gioco infinitamente più divertente di tanti Angry Bird;
    • i walled garden non sono elastici alla creatività. Qualche settimana fa ho installato sul mio Onyx M96 l’intera IDE di Processing, e mi sono trovato a scrivere codice su un ebook reader e installare direttamente sul mio device, App scritte da me con lo stesso device. Molti sono i tool di programmazione che arrivano su tablet e che potrebbero raggiungere persone che – su computer – quei tool non li avrebbero nemmeno guardati. È possibile, voglio dire, che una buona educazione all’informatica possa nascere su strumenti informaticamente deboli come i tablet;
    • in molti si sono accorti che la programmazione è divertente ed educativa, tra questi i produttori di videogame: se io giocavo negli anni ottanta a Moon Cresta, oggi vedo i miei figli giocare a Minecraft che – per molti aspetti – (si pensi alle red stone) insegna aspetti di programmazione logica anche sofisticati.

    Paolo Attivissimo ha quindi ragione, ma forse si sta urlando da troppo tempo al lupo al lupo. C’è il rischio che, quando arrivi davvero il lupo nessuno si scomodi più a tenerlo lontano, e che si perdano occasioni di educazione alla programmazione e alla conoscenza informatica. La strada utile da percorrere parte dalle scuole e abbraccia oggetti come Scratch! e la robotica. È interessante vedere come la BBC ha affrontato la questione educazione e informatica: ecco il BBC Micro Bit computer per le scuole inglesi. Back to the basic, boyz!

    11. settembre 2015 by fabrizio venerandi
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