Cronache di guerra

[1]

Ero lì che camminavo con terzogenita dopo averla presa da scuola e lei mi dice, “ah sai papà, ho capito perché le nostre maestre non ci avevano ancora parlato della guerra tra Ucraina e Russia”. E io sto per chiedere come mai e in quel momento ho l’illuminazione. Mi ricordo il primo giorno di scuola di terzogenita e ricordo questa sua compagna bionda, vestita con un vestito tradizionale, mi pare russo, e dico “ah ho capito, perché hai una compagna russa”.

E terzogenita mi dice no, non è russa. “È ucraina” mi dice. E suo padre, con sua cugina, sono in Ucraina. “Ah” dico io. E terzogenita continua, dice che però non possono comunicare. Non possono telefonare, non possono mandare mail, messaggi, niente. “Non hanno più notizie di suo padre”. E io penso ma porca puttana. “E la tua compagna?” chiedo. “Non vuole parlarne. Noi allora cerchiamo di starle vicino, di fare battute per farla ridere”.

E poi mi spiega che allora la classe farà una cosa che si chiama generazione del dono, raccoglieranno cose da spedire in Ucraina, per aiutare e io annuisco e mi rendo conto che sto piangendo. Non proprio piangendo come nei film, ma mi si sono riempiti gli occhi di lacrime e non riesco a parlare, altrimenti mi si rompe la voce. Terzogenita continua a parlare e io penso solo porca puttana, ma porca puttana.

E mi rendo conto, con imbarazzo, che quella cosa che girava su Facebook, su Youtube, quella cronaca di questa guerra lontana era in realtà già entrata nella classe di mia figlia. Era una cosa reale che di persona in persona era arrivata lì, a Genova, nella carne bambina delle classi elementari. Come un morbo, una pandemia umana.

[2]

Mi viene in mente Solenoide dove gruppi di persone si riuniscono per protestare contro la morte. Manifestano contro la cosa orribile che è morire. Oggi sentiamo naturale il diritto di non combattere e di non essere combattuti. Scendere in piazza contro il diritto di non essere combattuti, da nessuna parte.

In Pècmén raccontavo di questo mio sentirmi parte di una generazione trasversale che era antifascista non perché fosse contro i fascisti, ma perché era astorica. Ingenuamente pensava che nazionalismi, tradizioni territoriali, credi politici fossero stati assorbiti da una rete globale. Dalla connessione tecnologica di miti e valori completamente nuovi che arrivavano da ogni parte del pianeta e che riuscivano a ridisegnare una realtà che non aveva niente a che fare con quella del primo novecento.

Non era una generazione e questo mondo nuovo processava a scapito di qualcuno. Questo mondo globale che si connetteva lo faceva comunque seguendo le regole di qualcuno, usando le infrastrutture che da qualche parte venivano e che qualcosa in cambio avrebbero voluto. Ma hanno introdotto un seme di una visione diversa.

Il mondo ha pesi diversi, come i piombini che si mettono nelle ruote per l’allineamento e la convergenza, anche nel mondo sono infilati piombini. Alcune morti pesano in maniera diverse di altre. Alcuni posti del mondo non hanno lo stesso valore di altre. I cavi di quel mondo ideale, iperconnesso e aperto, sono stati stesi sopra stratificazioni di potere secolari, passano tra grate gonfie di umidità, terreni intossicati, ossa recentissime.

L’idea che il diverso sia una ricchezza, che la tradizione sia una pura anomalia del tempo e che esista il diritto a non combattere e non essere combattuti, restano questo, semi del pensiero di una generazione nuova, millenaria, che passerà ai miei figli. Semi in un campo ostile, alieno, in perenne rotazione.

07. marzo 2022 by fabrizio venerandi
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