Paper soft & MagPi magazine

Mi sto divertendo, il corso di programmazione che sto gestendo a Genova il lunedì sera sta proseguendo il suo percorso tra hardware e programmazione di codice. Abbiamo visto un programma in Scratch che usava il microfono come dispositivo di input associato alla visualizzazione di forme grafiche e abbiamo creato un semplice programma che crea frasi combinatorie in Python. Piccole cose, ma in cui sono già presenti un sacco di concetti nuovi per chi non ha mai visto una riga di codice: variabili, cicli, selettori, operatori, compilatori, liste, stringhe. Non vedo l’ora di smettere di spiegare cose e rimanere a vederli scrivere codice.

Sono anche riuscito, nei lab di quintadicopertina, a quasi-terminare un grosso script in XQuery che avevo iniziato per alfabeta2 e che – assieme alla creazione di script per BaseX CLI – automatizzerà buona parte dei passaggi per LG Argomenti e HP Accaparlante digitali. Quando lavoro a queste cose mi sento come se avessi la febbre, vado avanti, termino una cosa e poi mi fermo. Chiudo e dopo due secondi mi viene una idea per ottimizzare ancora il processo, o aggiungere ancora una possibilità. Riapro tutto e poi chiudo e la cosa può andare avanti per oregiorni.

Se il creatore ha inventato il sesso per garantire la riproduzione del genere umano, ha inventato la vescica per salvare i programmatori da una lenta morte per passione del codice. C’è poco da fare, programmare è divertente, frustrante a volte, un po’ incazzante in altre, ma è avvincente e tonificante, se il codice alla fine funziona. Altrimenti no, è l’inferno.

Ma non volevo parlare di questo. Qualche tempo fa ricordavo su facebook quando da ragazzino compravo una rivista che si chiamava Paper Soft:

Quando ero un ragazzino compravo una rivista che si chiamava Paper Soft. Era una rivista relativamente economica, sottile, e aveva una papera disegnata sulla copertina. Costava mille lire.

Il primo numero era uscito nel 1984, io li compravo tutte le settimane. Il contenuto della rivista non erano articoli di giornale o fumetti, erano listati. Listati di programmi per computer.

Compravo il mio Paper Soft, tornavo a casa, mi sedevo davanti al mio Lambda 8300 prima e sul mio Apple II poi, e copiavo con pazienza tutto il listato, linea per linea, codice per codice, comando per comando, variabile per variabile. Ore e ore di copiatura amanuense.

Alla fine battevo “run” e iniziavo a debuggare gli errori di battitura che sicuramente avevo fatto, finché, dopo ancora molto tempo, potevo usare il programma che avevo copiato e capire se poteva servirmi davvero.

(…)

Ecco, poco dopo il momento nostalgia e successivo momento, eh le riviste di informatica ormai non hanno senso, leggo su the digital reader la notizia: una rivista di informatica, MagPi magazine è uscita per il numero di dicembre con allegato un computer nella copertina. Non la foto eh, un computer vero, un Rasperry PIZERO.

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Forse tra i tanti discorsi sul perché della programmazione o su cosa voglia dire essere digitali oggi (leggo su facebook persone che dichiarano con orgoglio che lavorano nel digitale ma che non sanno come funziona un computer) è bello vedere questi segni. Sono segni che riguardano una minoranza? Forse, ma è anche vero che il numero di MagPi in questione è out of print, quindi nella rete globale le minoranze possono essere sostanziose. Sono anche segni che mostrano che le persone iniziano a capire che il “pulsante magico” non esiste, o se esiste è meglio farselo da soli, per quanto possibile, perché se lasciamo fare tutto agli altri sarà un pulsante molto diverso da quello che avremmo fatto noi.

27. novembre 2015 by fabrizio venerandi
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