Leggere i videogiochi: aprile 2019

In questi mesi ho lentamente continuato a giocare ai videogiochi dopo un lungo periodo di astinenza. Ho già parlato di Gris, di A Night in The Woods, di Lifeline [qui ho intervistato gli autori] e di Choice of Alexandria.
Sono tutti giochi che hanno in comune il fatto di avere un forte impianto narrativo, alcuni sono addirittura giochi solo testuali, mentre altri non hanno nemmeno una parola ma si basano solo su grafica e interattività. Di alcuni di questi parlo nell’ultimo libro a cui ho lavorato, dedicato ai nerd, Guida all’immaginario nerd, pubblicato da Odoya edizioni.

Gone Home

Gone Home

Sempre basato su un forte impianto narrativo è un altro gioco che ho recentemente terminato, Gone Home in cui sono in cui sono una ragazzina che è appena tornata a casa dopo essere stata in Europa e si ritrova di notte, sola, in una cupa casa isolata al buio sotto la pioggia, con i genitori e il fratello scomparsi nel nulla.
Ho girato per qualche settimana per le stanze, cercando di ricostruire la storia dei miei genitori e i casini di mia sorella, ascoltando musicassette di una ragazzina punk che ho capito con il tempo essere una fiamma di mia sorella e raccogliendo pezzi di carta dalla spazzatura. I miei genitori hanno gusti culturali deprecabili. Mia sorella ha scritto un racconto sulle ovaie e sull’utero femminile molto divertente. Entrare in una casa anni novanta fa senso: niente rete, un sacco di videocassette, LP, tubi catodici, telefoni fissi. Fogli, cartoline.
Un viaggio, da voyeur, all’interno della vita di una famiglia, andando a scoprire l’incomunicabilità tra genitori e figli, le paure, l’intreccio di vite di adulti e adolescenti, ognuno con i propri sogni, piccoli o grandi che siano.
Il raggiungere i propri obiettivi e il trovare inaspettatamente la via di uscita dai vicoli ciechi. E soprattutto la storia passo passo di un amore lesbico, costruito con frammenti di ricordi, canzoni, immagini.
Difficile giudicare il gaming: molte cose funzionali e tante tante tante cose che non servono assolutamente a nulla se non a creare il mondo in cui ambientare questa storia.
L’energia per la creazione degli oggetti certo stordisce e – dal punto di vista dell’interazione – lascia perplessi avere un mondo ricostruito con tanta cura, con cui però si possono fare un numero molto limitato di cose. Grafica efficace, tante piste false in fase di scoperta, molte cose scritte bene. Spiace quasi lasciare la casa senza aver avuto modo di sentire dei passi e riabbracciare Sam, vedere rientrare i genitori e raccontargli tutto.

The Eternal Castle

The Eternal Castle

Completamente diverso, ma intrigante per altri motivi, è The Eternal Castle. Un gioco appena uscito, gennaio 2019, che si presenta come nuova versione di un gioco in CGA degli anni ottanta. Prodotto italianissimo, venduto via STEAM, sembra uscito da un rapporto consenziente tra Bandersnatch e Stranger Things, non come tematiche, ma come appropriazione di una iconografia, questa del tutto videodigitale, degli anni ottanta. È un discorso che affronto nel libro già citato sui nerd: il videogame sta diventando sempre di più un fatto artistico, spesso nei posti più lontani dai vari Fortnite di massa. L’indie si sta appropriando (e – voglio credere – non solo per solleticare il lato nostalgico dei giocatori) di tutti gli immaginari videoludici creati fino ad oggi, come se fossero librerie espressive e retoriche da utilizzare a fini espressivi. In questo The Eternal Castle: Remastered c’è più del remake di un videogioco inesistente degli anni ottanta, è un reloaded di un videogioco anni ottanta che negli anni ottanta non sarebbe stato così spudorato, consapevole. Fanno sorridere i commenti che ho letto in alcuni siti di recensioni di chi si lamenta della grafica grossolana, di chi “al di sotto di prestazioni da 16 bit non è disposto a scendere” o chi si dice schifato della “moda del Pixel “art” che ha veramente superato ogni limite”. Il pubblico dei videogamer è davvero ampio, entusiasta quanto intollerante e – spesso – miope.
Al termine del gioco, un grosso appagamento a livello grafico, anche se il plot e il gaming mantiene meno di quello che sembrava promettere all’inizio.

Neverending Nightmares

Neverending Nightmares

Particolare anche la scoperta di Neverending Nigtmares. Mi sono trovato a “giocare” un “videogioco” influenzato dai disturbi ossessivi-compulsivi e dalla depressione sofferta dal capo disegnatore del team di sviluppo. Non un vero e proprio videogame, benché vi siano elementi di gaming classico, quanto un viaggio onirico nella mente di una persona disturbata. Diversi finali possibili, una grafica in bianco e nero con pochissimi colori con forte valore espressionista. Meglio giocarlo da soli di notte, al buio. Quando il videogioco ingloba al suo interno altre forme artistiche e le rimastica a suo uso e consumo.

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E quindi due ebook: Progetto Moebius e Una Voce dal Passato. Si tratta due testi che non avrebbero sfigurato nella collana polistorie di Quintadicopertina. Una voce dal passato di Antonio Costantini è un romanzo a bivi con molti spunti interessanti pubblicato da Dedalo Librigame.
Ci si risveglia, dopo un incidente, nel nostro corpo, ma nel tempo dei nostri studi liceali. Siamo in America e ci troviamo in classe con i nostri vecchi amici/nemici, le dinamiche adolescenziali e una persona, la nostra amica, che sappiamo sparire nel nulla tra pochi giorni.
Abbiamo la mente di una donna nel corpo di una ragazzina, e la voglia di salvare la nostra amica e tornare “avanti” nel tempo.
Tutto questo funziona. La prima parte dà davvero l’idea di rivivere questa infanzia anni novanta, un po’ da telefilm americano, e la ricostruzione è efficace. Qualcosa manca (se tornassi nel mio corpo di adolescente perderei giorni a descrivere i meccanismi diversi che ha, rispetto al mio contemporaneo) e alcune cose sono un po’ accelerate (i rapporti con i genitori), ma funziona bene.
La seconda parte mi ha convinto meno per alcuni snodi del gioco e per i diversi finali possibili troppo bruschi. Non mi hanno dato il senso di completezza che la fine di un romanzo (anche se a bivi) dovrebbe dare.
Detto questo, un prodotto molto interessante e che va nella direzione giusta, una letteratura elettronica di massa, che guarda tanto ai librogame quanto alle letture di genere.

31eqzqjpavlAncora più soddisfacente Progetto Moebius di Francesco Mattioli. In questo caso la struttura a bivi è sfruttata ripensando il concetto di dead end. Non esiste in questo libro una fine sbagliata, perché il protagonista ha il potere di tornare indietro nel tempo e ripetere più volte le stesse esperienze. Come si torna indietro nel tempo, in un libro? Si rilegge quello che si era già letto, ma si fanno cose diverse. Il meccanismo è molto semplice e – in alcuni punti – davvero brillante. Un crossover tra tante cose: cinematografia d’azione, videogiochi e rilettura. Una sola piccola critica nella parte finale: molte cose accennate all’inizio e che pensavo avrei scoperto in fase di gioco, non vengono sviluppate e il libro termina senza che siano state affrontate.
Un ebook che mi sento comunque di consigliare per le tante idee contenute dentro.

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Adesso sto continuando a giocare ad alcuni videogiochi carini che evito di citare perché non particolarmente importanti, mentre questa notte ho iniziato un videogame che, nella prima ora di gioco mi ha francamente colpito. Si chiama Life is Strange ed è impressionante per come riesce a mettere nella stessa scatola meccanismi da avventura testuale, grafica di grande efficacia, gameplay sofisticato ma non annichilente, dialoghi alla Monkey Island, e narrativa, narrativa, narrativa. Quando è bello vedere raccontare storie in questo modo.
Ne scriverò una recensione quando lo avrò finito, dopo aver ingoiato lo spoiler a bruciapelo che mi ha fatto una studentessa nerd con i capelli rosa, rivelandomi a tradimento un colpo di scena che ora è lì che aleggia nelle aule di questo campus universitario.

Buone letture, giocatori.

23. aprile 2019 by fabrizio venerandi
Categories: digitale & analogico, ebook news, Interactive Fiction, videogame | Leave a comment

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