[al Festival della scienza]
Ieri ho portato – non senza contraddizione – una quarta tecnico informatico al Festival della scienza di Genova. Non senza contraddizione perché il Festival della scienza ha come sponsor storico una ditta, Leonardo, che lavora anche in campo militare ed ha alcune commesse aperte con Israele. Diversi docenti, tra cui il sottoscritto, hanno chiesto, in una lettera aperta al Festival di fare un passo indietro e non avere tra gli sponsor Leonardo ricevendo – alla fine dei conti una risposta grigia che si è trascinata fino ad oggi. Molte classi hanno deciso di non andare. Io – dopo una lunga discussione con i genitori dei ragazzi – ho deciso altrimenti. Appunto – non senza contraddizione.
Vi prego di non commentare il post scrivendo cosa avreste fatto voi perché “francamente me ne infischio”. Invece, vorrei nei prossimi mesi intraprendere in classe – nelle ore di educazione civica – un discorso sulla sostenibilità della pace. Quanto costa in termini industriali fare scelte antimilitariste? È possibile uno sviluppo tecnologico che viva fuori dai finanziamenti e commesse legate agli armamenti? Consigli e risorse in questo senso sono invece benvenute.
Comunque, nel corso di una mattinata siamo passati da un laboratorio gioco sulle stelle, piuttosto interessante anche in termini di didattica utilizzata (un video introduttivo su tre schermi con tecnologia mi pare Blender, cinque tablet con un bot telegram a gestire il gioco, esercizi elementari di coding, una app per l’esplorazione delle galassie) gestito da INAF, a uno sulle tecniche di gioco da tavolo non randomizzate, con uno scorcio anche sull’autoapprendimento dell’IA, a uno finale sui videogiochi quantistici (Si vede che i laboratori li ho scelti io?). In mezzo ci ho messo anche una visita lampo alla Berio, per una attività di club del libro che ho in mente di fare.
Iniziato alle otto e mezza, finito alle quindici. Due considerazioni, al di là dell’interesse intermittente dei ragazzi, spesso legato alla qualità del materiale utilizzato o alla stanchezza per il tour de force (dalle otto e mezza alle quindici, correndo da una parte all’altra di Genova).
a) una appunto, la qualità. Il secondo laboratorio era in un ambiente un po’ sfortunato, con attrezzatura di gioco più rudimentale e sottodimensionata, e i ragazzi hanno faticato di più a restare sul pezzo.
b) due, la didattica ludica funziona bene, finché è divertente. I ragazzi giocano imparando se il gioco è divertente e creativo e se non ci sono trappole didascaliche o sermoni finali che tentano di tirare le fila. Se il gioco inizia a diventare una lezione frontale o un “finto gioco’” i ragazzi iniziano a pensare ai fatti loro.
c) penso che queste cose siano interessanti quasi più per i docenti che per i ragazzi: vedere didattiche pensate da startup intraprendenti, aperture verso campi del sapere sganciati da quelli chiusi delle discipline scolastiche, è una boccata di aria fresca.
d) i ragazzi, fuori dalla classe, si trasformano. Ho ricevuto più feedback sul loro carattere, sulle loro paure e le loro ambizioni ieri che in sei mesi passati in quel luogo asfissiante che è il luogo classe. Bisogna, come dice una mia collega di sostegno, cercare di farli uscire dalla scuola più volte possibile. La scuola è un posto tossico.
e) viva la didattica orientativa. A un certo punto, dopo il primo laboratorio, gli ho detto, “alcuni di voi si chiederanno, ma perché porto voi che siete degli informatici a un laboratorio di astrofisica? Le ragioni sono due: la prima è che – avete visto – tutto il laboratorio che abbiamo fatto era basato su pilastri digitali: video con Blender, bot Telegram, coding, app con mappe stellari. Il codice serve in ogni ambito: pensate ai miliardi di ammassi stellari che abbiamo visto, è un enorme database che viene attraversato da query per trovare quello che ci serve; il secondo motivo è che voi fate informatica, certo, ma questo che imparate vi serve per fare, quando uscirete da qua, qualsiasi cosa: tenete una dieta ampia, cercate di divorare ogni campo del sapere che potete, cortociruitate perché non avete idea di cosa andrete a fare nella vita”, il pistolotto delle dieci del mattino tenuto in un pezzetto del cortile della Berio che immagino cambierà la loro vita per sempre, ma vabbé.
f) nella micropausa pranzo li ho lasciati “liberi” di mangiare qualcosa andando in uno dei localini di via Balbi. Sono andati, tornati, tutto bene. Ecco – a scuola questo non è possibile. Non avrei potuto farlo e non posso farlo mai all’interno del plesso scolastico. Ho dei diciassettenni e non posso mandarli in giro per la scuola a fare cose, figurati mandarli fuori della scuola. Questa cosa, che si chiama sorveglianza, e di cui sono chiari i vantaggi, ha come side effect il fatto di avere dei maggiorenni o quasi trattati con le stesse regole con cui le maestre trattavano mia figlia alle elementari. Una stutturale mancanza di fiducia e mancata assunzione di responsabilità che si protrae fino alla maturità. Poveracci, loro e noi.
g) nella suddetta pausa, masticando una farinata, sono andato a fare un salto a Lettere, in via Balbi. Mi ha impressionato vedere come poco fosse cambiata internamente da quando ci andavo io. Ho letto un po’ i manifestini appesi e mi sono rammaricato di quanto sia separato il mondo universitario da quello della secondaria di secondo grado, e di come sarebbe interessante invece avere una distribuzione graduale tra i due mondi. E – alla fine – egoisticamente, un piccolo momento di nostalgia. Forse la parte più bella dell’istruzione è quando sei lì a studiare immaginandoto i possibili futuri possibili, più che poi – in questi futuri – trovartici.